Riflessioni su Imparare democrazia di Gustravo Zagrebelsky
Il nostro gruppo di filosofia è tornato a riunirsi, nel mese di ottobre, per discutere sul saggio Imparare democrazia (Einaudi, 2007) di Gustavo Zagrebelsky, professore emerito di Diritto Costituzionale e autorevole protagonista del dibattito pubblico italiano.
Benché negli ultimi anni siano stati pubblicati molti libri sul complesso tema della crisi delle democrazie occidentali (ad esempio il saggio Così finisce la democrazia di David Runciman, professore di scienze politiche a Cambridge o quelli di Anne Applebaum Il tramonto della democrazia e Autocrazie con cui ha vinto il Premio Strega 2025 per la saggistica internazionale), leggere o rileggere il testo di Zagrebelsky è particolarmente stimolante, perché, attraverso un’esposizione agile e chiara, propone una riflessione sui presupposti della cittadinanza e, in forma di decalogo, espone i contenuti essenziali dell’ethos democratico, i principi ideali che chiedono di essere tradotti in azioni da una opinione pubblica responsabile, vigile e attiva, capace di evitare arretramenti e involuzioni della democrazia.

In primo luogo, Zagrebelsky sottolinea il valore della critica, del dubbio, poiché in una società democratica non esistono idee, posizioni ideologiche o poteri assoluti, sciolti da limiti e controlli. Da ciò discende evidentemente la prioritaria necessità che sia garantita una informazione libera, plurale e di qualità. Se è vero che il dubbio giova alla salute della democrazia, non sono tuttavia negoziabili i principi su cui la democrazia si fonda, cioè la libertà, l’uguaglianza formale e sostanziale, la giustizia sociale e la solidarietà, concetti e pratiche da riscoprire. Contro l’indifferenza, la rassegnazione, il nichilismo, l’autore sollecita ad aver fede nei principi democratici e a recuperare lo slancio ideale e utopico.
La democrazia inoltre è pluralista, aperta alle diverse identità e alle minoranze; ha cura delle personalità individuali, ne valorizza l’originalità, la capacità di dare origine a nuovi inizi. Il suo fondamento è il dialogo che non rallenta l’azione politica, ma ne costituisce una necessaria premessa. Qui si fa riferimento al dialogo autentico, non alla comunicazione come arena in cui l’avversario è vissuto come nemico da battere. Solo attraverso un autentico confronto è possibile aprirsi alla comprensione della complessità della realtà. Gli slogan, le formule semplicistiche – sempre più presenti nell’attuale dibattito politico – possono colpire l’immaginazione, accendere la dimensione emotiva, ma rischiano di disarticolare il pensiero, costringerlo in pericolose polarizzazioni, e riducono i cittadini in tifosi, e il tifoso, come suggerisce l’etimo greco thyphos, è mosso da un fanatico fervore, una specie di febbre che sottrae lucidità e annebbia la mente.
Affinché sia preservata la correttezza dei ragionamenti e dei discorsi, è necessario parlare con onestà, dire la verità, ciò che gli antichi Greci chiamavano parresia. Solo nei regimi autoritari e nelle più cupe distopie i fatti sono presentati come opinioni e la verità è messa deliberatamente sullo stesso piano della menzogna.
Per approfondire il tema dell’uso distorto del linguaggio è interessante segnalare i libri del linguista George Lakoff. In Metafora e vita quotidiana – scritto con Mark Johnson – dimostra che le metafore, lungi dall’essere dei semplici artifici retorici, hanno la capacità di modificare stili di pensiero e comportamenti, basti pensare alla diffusa metafora “il tempo è denaro” attraverso la quale il tempo, uno dei concetti più difficili da definire, viene accostato alla dimensione della merce e del profitto. In Non pensare all’elefante. Come riprendersi il discorso politico lo studioso americano analizza alcune espressioni ricorrenti nella comunicazione politica odierna come “padroni a casa nostra” oppure “ondata migratoria” che nella loro apparente semplicità tendono a influenzare, manipolare la visione del mondo e le scelte dei cittadini, costruendo in tal modo consenso ed egemonia politica.
In relazione al tema della verità, ci siamo confrontati anche sulla questione della trasparenza in politica che già Kant alla fine del Settecento aveva affrontato nell’Appendice a Per la pace perpetua, un classico da rileggere in tempi di dilagante bellicismo, in cui sostiene che tutte le azioni che non sono rese pubbliche sono ingiuste. In altri termini, ciò che è sottratto al controllo dell’opinione pubblica non può che destare l’immediato sospetto che sia illegittimo. A ciò si aggiunge, come nota Norberto Bobbio nel saggio Il futuro della democrazia, che, anche nei paesi definiti democratici, continuano a esistere centri invisibili o opachi del potere incompatibili con una società compiutamente democratica.
Il nostro incontro si è concluso con la rinnovata consapevolezza che la democrazia non è solo un insieme di regole e procedure, ma queste ultime hanno bisogno di una disposizione interiore, di un’etica diffusa che dia loro senso e vigore. È evidente in questa prospettiva il ruolo della scuola. Lo stesso Zagrebelsky negli ultimi anni ha rivolto la sua attenzione ai temi pedagogici ad esempio nel saggio Mai più senza maestri e La lezione.
A partire da queste riflessioni sulla centralità dell’educazione, abbiamo deciso di leggere per il prossimo appuntamento di novembre il libro di Martha Nussbaum Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica.
Prof. ssa Ada Mangano
Docente di Storia e Filosofia
