Perché mi è piaciuto questo libro?
Ho da poco finito di leggere L’evento di Annie Ernaux e mi sembra che questa lettura mi abbia dato degli strumenti, una sorta di chiave per comprendere il libro di Antonella Lattanzi, Cose che non si raccontano, Einaudi, 2023.
Apparentemente due storie opposte, la prima parla di aborto, la seconda del desiderio di avere un figlio.
Ma entrambe parlano del corpo delle donne e hanno una scrittura tagliente caratterizzata da una sincerità a volte spiazzante.
Entrambe le autrici avrebbero potuto “strumentalizzare” la tragicità degli eventi vissuti per suscitare empatia e pietà. Invece è stata scelta la strada più difficile, quella della verità, con la quale viene descritto lo strazio del corpo e vengono raccontati senza mezzi termini i propri pensieri (anche nel libro di Lattanzi, messi tra parentesi).
Ernaux non ha paura di dire che in quel momento della sua vita non vuole avere un bambino, perché le impedirebbe di raggiungere i suoi obiettivi. La stessa paura attraversa Lattanzi, che racconta anche di due aborti in giovane età. È forte il suo desiderio di diventare madre e nonostante ciò si interroga :
Che ne sarà del mio lavoro? Potrò continuare a viaggiare?
Questi pensieri la fanno sentire in colpa, perché la società ancora considera la donna come madre ed è inconcepibile pensare a qualcosa di più importante nella sua vita.
Lattanzi ha il coraggio di rivelare i suoi pensieri più reconditi, l’invidia e addirittura l’odio nei confronti di chi può sfoggiare la sua gravidanza o la sua maternità, l’odio nei confronti del suo uomo:
Perché lui non deve operarsi. Perché lui è un uomo. Perché lui può andare nel mondo e io devo stare chiusa dentro il mio. Perché lui, se io non potessi piú avere figli, potrebbe averne, ancora per decenni, con altre donne.
E poi racconta la crudeltà nei confronti delle donne, quando compiono scelte che una mentalità conservatrice, per non dire perbenista, condanna senza possibilità di appello “perché essendo un ospedale cattolico io non ero una di loro”.
La cosiddetta “violenza ostetrica” , che Lattanzi ha vissuto, come tante donne, la “crudeltà delle infermiere”, l’insensibilità del linguaggio utilizzato:
Continuano a darti del padre e della madre anche quando hai perso i tuoi figli.
Ma oltre alle persone orribili ci sono anche le persone belle, gli amici cari e il suo medico il “dottor S.” che la considera in “tutto il suo essere, non solo come paziente”. Non l’ha mai giudicata, ma sempre supportata, non dimenticando mai di avere dinanzi a sé non solo una donna incinta in grave difficoltà, ma anche una scrittrice.
Insomma, un libro che leggi in maniera vorace e che ti rende parte di esso, che racconta “cose che non si possono raccontare” e sa farlo nel modo più sincero e più vero.
Eliana Affatato
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